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Stranieri in azienda: dall’Ipsos il punto sulle difficoltà e opportunità

Posted by Valentina Beretta on
Stranieri in azienda: dall’Ipsos il punto sulle difficoltà e opportunità

Quante aziende italiane, in percentuale, hanno dipendenti stranieri? Qual è il loro apporto e quali difficoltà incontrano nel nostro Paese, anche in seguito alla pandemia? Risponde a queste e molte altre domande “Difficoltà ed opportunità d’inclusione degli stranieri in azienda”, indagine Ipsos condotta per l’UN Global Compact Network Italia, la realtà con la quale nel nostro Paese opera il Global Compact delle Nazioni Unite con obiettivi di sviluppo, sostenibilità e responsabilità d’impresa. 

I risultati del sondaggio sono stati presentati recentemente, durante la 6° edizione dell’Italian Business & SDGs Annual Forum, l’appuntamento annuale che costituisce un’occasione di dialogo e confronto sul ruolo del settore privato nel raggiungimento degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile indicati dalle Nazioni Unite.

I diversi profili del lavoratore straniero

I dati raccolti dall’indagine Ipsos identificano un panorama molto variegato in termini di figure professionali, motivazioni e percentuali. Per iniziare dai numeri, più del 72% delle aziende ha almeno un dipendente straniero arrivato in Italia per motivi legati a scelte non forzate dalla necessità economica o di sicurezza personale, il 45% ha almeno un migrante e il 9% impiega almeno un richiedente asilo o rifugiato politico. Le principali motivazioni all’inserimento degli stranieri risultano essere la necessità di manodopera, ma in un contesto in cui più del 70% delle aziende considera maggiori le opportunità rispetto alle difficoltà dell’inserimento degli stranieri. Da notare che, per quanto riguarda l’inserimento degli stranieri arrivati in Italia per motivi legati a scelte non forzate dalla necessità economica o di sicurezza personale, le opportunità risultano essere sostanzialmente maggiori rispetto all’inserimento degli stranieri migranti, rifugiati politici o richiedenti asilo. In particolar modo, si evidenza la differenza nell’opportunità di aumentare la propensione all’innovazione (59% vs 34%).

Pochi pregiudizi, tante difficoltà liguistiche

Sul fronte delle difficoltà, quelle linguistiche sono le principali seguite da quelle organizzative, mentre i pregiudizi culturali da parte di tutte le componenti aziendali sono considerati ostacoli all’inclusione in minima parte. Rispetto alle misure introdotte, si rilevano percentuali molto basse di programmi di formazione e iniziative di diverso tipo. Mentre si evidenzia la presenza leggermente maggiore di misure come la traduzione delle informazioni in più lingue (23%) e le ferie basate su particolari festività religiose (16%).

L’impatto del Covid-19 sull’inclusione

Per quanto riguarda l’impatto della pandemia, le aziende intervistate rilevano un  impatto negativo sul piano economico e psicologico degli stranieri con una percentuale molto bassa, il 5%. Infine, poco più del 60% ritiene che a causa del Covid-19 il tema della multiculturalità in azienda subirà un rallentamento; ben il 54% sostiene però che sarà momentaneo.

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Italiani e passioni: vince il collezionismo di libri, computer, fotografia e moda

Posted by Valentina Beretta on
Italiani e passioni: vince il collezionismo di libri, computer, fotografia e moda

La passione è un tratto distintivo del carattere degli italiani, e quando si parla di passioni che durano nel tempo non siamo secondi a nessuno. Oltre il 94% degli italiani, la percentuale più alta in Europa, coltiva almeno una passione nella propria vita, e con una media di 4,7 passioni a testa guidiamo la classifica tra gli europei. Ma gli italiani sono anche i più inclini a collezionare, soprattutto libri, computer, fotografia e moda. Il 42% dichiara infatti di dedicarsi almeno a una collezione, e il 16% sta pensando di iniziarne una nuova. Sono alcuni risultati emersi dalla ricerca sulle passioni realizzata da Catawiki, la piattaforma di aste online per oggetti speciali, e condotta da YouGov in cinque paesi europei su più di 6.000 partecipanti. 

Coltivare una passione richiede impegno, dedizione e tempo

Sul podio delle passioni degli italiani spiccano i libri (44%) seguiti dal computer (32%) e la fotografia (26%). A conferma che l’Italia è anche un paese di ‘fashion victim’, seguono moda (23%), e borse e accessori (21%). Ma come nasce una passione e quando viene coltivata? Quasi la metà degli intervistati (49%) dichiara di “aver sempre avuto questa passione”, mentre il 21% “cercava un modo per occupare il tempo libero”. Coltivare una passione richiede impegno, dedizione e tempo: il 67% degli italiani lo fa almeno una volta alla settimana. E se cercare informazioni sul web o sui social è fondamentale per il 57% degli intervistati, il 30% guarda contenuti legati alla propria passione, oppure compra qualcosa in più (35%) e partecipa a eventi o esperienze live (20%)

Condividere la propria passione è importante per il 37% degli italiani 

La passione significa felicità per il 70% degli intervistati, ma il tempo è uno dei maggiori vincoli per poterla vivere a pieno. Quasi il 60% afferma di perdere la cognizione del tempo quando è impegnato con la propria passione, e il 56% ha dichiarato che ne coltiverebbe di nuove se avesse più tempo. Più della metà vorrebbe trasformare la propria passione in un lavoro, e meno di 1 su 5, il 19%, ha la fortuna di farlo già. Ma per gli italiani passione significa anche condivisione. Nonostante la sfera personale rimanga preminente, la condivisione è importante per il 37% degli italiani, e il 57% dichiara che “tutti sono a conoscenza” della loro passione.

La pandemia non ha cambiato le abitudini di spesa

Il 35% spende in media 117 euro al mese per acquistare oggetti legati alla propria passione. E l’indagine mostra, come riporta Ansa, che gli italiani sono i più inclini a risparmiare per la loro passione (37%). La pandemia ha cambiato il tempo che gli italiani dedicano alle passioni, ma non le abitudini di spesa, consentendo di “rinnovare le nostre passioni” (45%) o di “iniziarne di nuove” (28%), come la lettura. Una grande percentuale di connazionali, quasi uno su cinque, (19%), dall’inizio della pandemia considera anche la possibilità di vivere della propria passione.

Economia

Il mercato delle criptovalute supera 2 mila miliardi di dollari

Posted by Valentina Beretta on
Il mercato delle criptovalute supera 2 mila miliardi di dollari

Nel mese di settembre 2021 il valore totale del mercato delle criptovalute ha superato 2.000 miliardi di dollari, una cifra dieci volte superiore rispetto all’inizio del 2020. In particolare, i soli stablecoin hanno toccato quota 120 miliardi, quadruplicando il valore dall’inizio dell’anno. Il calcolo è del Global financial stability report del Fondo monetario internazionale. Secondo l’Fmi, insieme a “un nuovo mondo di opportunità”, crescono anche sfide e rischi. E se finora gli incidenti registrati “non hanno avuto un impatto significativo, man mano che il settore diventerà sempre più mainstream, la loro importanza in termini di implicazioni potenziali per tutta l’economia è destinata ad aumentare”, si legge nel report. In particolare, l’Fmi mette in guardia sui rischi che corrono i consumatori. Di oltre 16.000 token quotati in vari scambi, soltanto 9.000 esistono ancora oggi, mentre il resto si è volatilizzato in varie forme.

Pericolose lacune di dati dovute all’anonimato delle criptoattività 

Questo perché, ad esempio, molti token non hanno più volume sufficiente o perché gli sviluppatori si sono ritirati dal progetto. O anche perché erano stati creati per mera speculazione o direttamente con intenzioni fraudolente. Inoltre, osserva il rapporto, l’anonimato delle criptoattività crea lacune di dati per i regolatori e può aprire le porte al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo. Per quanto le autorità siano in grado di tracciare le transazioni illecite, possono avere difficoltà a risalire alle parti coinvolte. Senza dimenticare che la differenza delle cornici regolatorie tra i vari Paesi complica il coordinamento, con molte transazioni che avvengono tra entità che operano principalmente in centri finanziari offshore. “Ciò – avverte il Fondo – rende la supervisione e il controllo non solo complicato, ma quasi impossibile senza collaborazione internazionale”.

I rischi legati alla criptizzazione dell’economia

A preoccupare gli economisti di Washington è anche il rapido diffondersi delle criptoattività nei Paesi emergenti e in via di sviluppo. 
“Guardando al futuro – avverte il Gfsr – un’adozione così rapida e diffusa può porre significative sfide rafforzando la dollarizzazione dell’economia, o in questo caso la criptizzazione, con i cittadini che cominciano a usare criptovalute al posto della moneta locale. E ciò può ridurre la capacità delle banche centrali di condurre con efficacia la propria politica monetaria”. Le criptoattività potrebbero inoltre favorire l’evasione fiscale e i deflussi di capitale. 

La regolamentazione degli stablecoin

Di qui l’esortazione del Fondo ad agire in modo deciso, rapido e ben coordinato a livello globale, riporta Agi. Cinque sono i suggerimenti che arrivano da Washington, e il primo è l’invito a regolatori e supervisori a monitorare il rapido sviluppo di questo ecosistema e i rischi che può porre, affrontando il nodo della carenza di dati. I regolatori nazionali, inoltre, dovrebbero dare la priorità all’applicazione degli standard globali esistenti. E quanto al ruolo degli stablecoin, la regolamentazione “dovrebbe essere proporzionata ai rischi che pongono e alle funzioni che svolgono, allineandola a quella di altre entità che forniscono strumenti simili, come depositi bancari o fondi monetari di mercato”.