Valentina Beretta


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Medie imprese: come difendersi dalle Great Resignation e trattenere il personale?

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Medie imprese: come difendersi dalle Great Resignation e trattenere il personale?

Come possono le medie imprese difendersi dal fenomeno delle Grandi dimissioni, e impedire una la massiccia fuoriuscita di personale dalle aziende? Soprattutto, attraverso gli aumenti di stipendio, ma anche tramite la concessione di benefit aziendali e la flessibilità dell’orario di lavoro.
Sono queste le leve che le medie imprese italiane, affamate di personale qualificato, utilizzano per far fronte alla Great Resignation, il fenomeno, sempre più diffuso, delle dimissioni volontarie del personale. Secondo le stime di Unioncamere e del Centro studi Tagliacarne nel 2022 le dimissioni volontarie sono state pari a circa il 19,5% del totale delle interruzioni lavorative, ovvero 1,66 milioni su 8,5 milioni di cessazioni lavorative in totale, mentre nel 2018 erano state percentualmente molto inferiori, pari a circa il 14%.

La leva principale è l’incremento del salario

A quanto emerge da un’indagine condotta da Unioncamere e dal Centro studi Tagliacarne, svolta in collaborazione con l’Area Studi di Mediobanca e presentata recentemente a Milano, la modalità che più di frequente viene adottata dalle medie imprese italiane per trattenere il personale qualificato in azienda è appunto l’incremento salariale, dichiarato dal 50% del campione intervistato. Seguono, a moderata distanza, il riconoscimento di benefit aziendali, dichiarato dal 29%, e la flessibilità degli orari di lavoro, dal 27%.

Poche aziende puntano su smart working o coinvolgimento nelle decisioni aziendali

A maggiore distanza le aziende segnalano di offrire maggiore autonomia nelle mansioni (19%), riconoscimento del lavoro svolto (18%), incentivi per la formazione (14%).
Meno ‘appeal’, al fine di non perdere le risorse aziendali migliori, sembrano avere la concessione dello smart working (13%), quella di percorsi di carriera privilegiati (12%) o di percorsi di carriera accelerati (7%).
“Solo poco più del 10% delle medie imprese – commentano Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne – punta sullo smart working o sul coinvolgimento nelle decisioni aziendali per trattenere il capitale umano. E meno del 10% offre la possibilità di accedere a percorsi di carriera accelerati”.

I lavoratori più giovani chiedono anche più tempo per coltivare affetti e passioni

“Dalle risposte delle aziende – aggiunge Andrea Prete, presidente di Unioncamere – si conferma che i lavoratori, in particolare quelli più giovani, chiedono non solo uno stipendio adeguato alle proprie capacità, che è pure un fattore molto importante, ma anche la possibilità di coltivare interessi, hobby e affetti familiari”. Ma il 16% delle aziende intervistate dichiara di non adottare alcuna pratica per trattenere il personale.  

Economia

In Lombardia si concentra un terzo delle imprese innovative italiane

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In Lombardia si concentra un terzo delle imprese innovative italiane

È nella regione lombarda che si concentra il maggior numero di imprese innovative del paese.
Delle circa 359.000 imprese più innovative presenti su tutto il territorio nazionale, infatti, oltre il 30%, quasi 110.000 imprese, ha sede in Lombardia. Sul podio a livello regionale si piazza anche il Lazio, con 45.000 imprese innovative (12,5%), seguito dal Veneto, con oltre 38.000 (10,7%).
Fanalino di coda è il Mezzogiorno, con regioni che non superano le 10.000 imprese innovative, Sicilia e Puglia, o addirittura le 5.000, Calabria e Sardegna. Sono alcune evidenze dello studio di marketing intelligence realizzato da CRIF. 

Circa il 60% ha meno di 5 dipendenti e fattura meno di 5 milioni di euro

Lo studio ha preso in esame le imprese che mostrano un elevato grado di innovazione, misurato con il livello 1 e 2 dell’Innovation Score di CRIF. I criteri considerati vanno dallo sviluppo di brevetti innovativi all’approccio smart al business, dagli investimenti in ricerca e sviluppo all’attività di export. In generale, si tratta di imprese con fatturati e numero di dipendenti non troppo elevati: circa il 60% delle imprese innovative ha meno di 5 dipendenti e fattura meno di 5 milioni di euro.
Analizzando, invece, i primi 10 settori merceologici di provenienza delle imprese innovative lo studio evidenzia come il settore ICT continui a mantenere un valore predominante (Produzione di software), insieme a quello della consulenza.

Società di capitali a rischio minimo

Quanto alla forma legale delle imprese a maggiore innovazione emerge che nel 74% dei casi si tratta di società di capitali, quindi, realtà maggiormente strutturate e patrimonializzate. A confermare la solidità di queste imprese è anche l’indicatore di affidabilità calcolato da CRIF: nel 65% dei casi le imprese innovative sono anche quelle più affidabili con rischio minimo o più basso della media.

Il ruolo chiave dei player finanziari

“I player finanziari avranno un ruolo chiave nel supportare lo sviluppo di queste imprese innovative – commenta Elena Mazzotti, Chief Client Innovation & Strategy di CRIF -. A fare la differenza sarà la capacità di individuare correttamente il loro profilo e di affiancarle nel percorso di crescita da un punto di vista finanziario e consulenziale, sviluppando un’offerta di servizi che vada a coprire non solo le esigenze di credito, ma anche altri bisogni connessi al ciclo di vita dell’impresa. Ad esempio, internazionalizzazione, piani di transizione verso una produzione sostenibile, advisory connessa all’utilizzo del PNRR e delle fonti di finanza, e coperture assicurative specifiche per differenti tipi di rischi”.

Varie

Franchising: numeri e tendenze del comparto nel 2022

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Franchising: numeri e tendenze del comparto nel 2022

Emerge dal Rapporto Assofranchising Italia 2023 – Strutture, Tendenze e Scenari, realizzato da Nomisma: nonostante le difficoltà nel 2022 prosegue la crescita del comparto franchising in Italia, che rispetto al 2021 incrementa numero di punti vendita (61.162, +2,2%) e addetti occupati (252.848, +6,2%), raggiungendo un fatturato di 30,9 miliardi euro (+7,1% rispetto al 2021).
Un risultato positivo trainato, in parte, da un mercato del lavoro più reattivo e dal risparmio accumulato dalle famiglie, fattori che hanno contribuito ad ammortizzare gli effetti negativi dell’inflazione.
Nel 2023 si prospettano però segnali di rallentamento, legati al perdurare della spinta inflazionistica e ai suoi effetti sul reddito disponibile delle famiglie. Si prevede quindi un aumento del fatturato nell’ordine del +3%, con un tasso di crescita più contenuto rispetto al 2022. 

La GDO incide per il 37% sul business complessivo

La media di personale per punto vendita è di 4,1 unità. Rimangono stabili le insegne operative (954), dopo la contrazione del 2020 (-103) e la crescita del 2021 (+78). Una solidità che deriva dalla forte dinamicità del settore, che ha visto la cessazione di alcune insegne nell’ambito dell’abbigliamento per bambini e bar-gelateria, e parallelamente, la crescita di nuovi franchisor nei segmenti ristorazione, casa e servizi.  Considerando i settori merceologici più performanti al primo posto la GDO, che con un giro d’affari che supera 11 miliardi di euro, incide per il 37% sul fatturato complessivo, seguita dal comparto abbigliamento (oltre 7,5 miliardi), servizi (4,5 miliardi), e ristorazione (oltre 3,2 miliardi). 

Servizi, ristorazione, e abbigliamento i settori con più punti vendita

Nel 2022 le reti in franchising attive sono 954, di cui 923 italiane (97%). Il Nord Ovest è al primo posto per numero di franchisor, seguito da Nord Est e Centro Italia. In crescita, con 199 reti attive, l’area del Sud e delle Isole.  Tra i settori più rappresentati nella penisola, al primo posto, quello dei servizi (255 reti), seguito da ristorazione (181) e abbigliamento (180).  Il settore merceologico preponderante è appunto quello dei servizi, con 17.373 punti vendita (28% sul totale), seguito dall’abbigliamento (14.881, 24%) e dal commercio specializzato (8.321, 14%). 
La regione con il maggior numero di punti vendita è la Lombardia (9.955 store), seguita da Lazio (6.734), Campania (4.805), Emilia-Romagna (4.757) e Sicilia (4.665). 

Cresce il fatturato e-commerce: +8,7%

La tecnologia sta dando un grande impulso al comparto e sarà sempre più un asset strategico di competitività: un brand su 2 possiede un canale e-commerce attivo già da prima del 2020.
Cresce poi la quota di fatturato derivante dalla vendita e-commerce (+8,7%) e si prevede un ulteriore incremento fino al 12,8% per il 2023. Di fatto, nel prossimo triennio l’84% delle imprese è propenso ad investire in digital technology per migliorare le performance economico-finanziarie, e la gestione della propria rete.

Economia

Credito: prevale la cautela delle famiglie e dell’offerta

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Credito: prevale la cautela delle famiglie e dell’offerta

Sul mercato del credito alle famiglie prevale la cautela, sia da parte della domanda sia dell’offerta, che esprime politiche di concessione più stringenti a favore di un credito sostenibile, e in ottica di mantenimento della qualità dei portafogli. Una cautela generata dall’incertezza dal contesto geopolitico, l’inflazione e l’aumento dei tassi di interesse. Si rileva, inoltre, una contrazione degli importi medi erogati per le tipologie di finanziamento a maggior valore, come mutui per l’acquisto di un’abitazione, prestiti personali e cessione del quinto dello stipendio. Secondo la 54esima edizione dell’Osservatorio sul Credito al Dettaglio, realizzato da Assofin, CRIF e Prometeia, le erogazioni di credito al consumo nel 2022 sono cresciute rispetto all’anno precedente (+10%), ma nel corso dell’anno si assiste a un progressivo rallentamento della crescita, confermato dai dati aggiornati a fine marzo 2023: +6,1% nel primo trimestre.

Finanziamenti finalizzati in ripresa, prestiti personali in difficoltà

In decisa ripresa i finanziamenti finalizzati per auto/moto (+18.9% I trimestre 2023), e quelli finalizzati all’acquisto di altri beni/servizi (+15,1%), trainati dai finanziamenti a sostegno dell’acquisto di beni destinati all’efficientemento energetico delle abitazioni e di beni acquistati online.
Prosegue poi l’evoluzione positiva della cessione del quinto dello stipendio/pensione (+9,1%), trainata dalle erogazioni a pensionati e dipendenti privati. I finanziamenti CQS/P legano la loro crescita alla caratteristica di essere obbligatoriamente garantiti da copertura assicurativa e si configurano come prodotti che favoriscono l’inclusione finanziaria dei pensionati. In difficoltà invece i prestiti personali, (-3,1%), in particolare, nella forma del refinance e del consolidamento del debito.

Mutui in calo, surroghe in crescita

Dopo due anni di decisa crescita nel 2022 i mutui immobiliari per l’acquisto di abitazioni registrano un calo del -2,3%, che si accentua nel primo trimestre 2023 (-34,7%). Influisce su questo trend il progressivo aumento dei tassi di riferimento e l’incertezza sul mercato immobiliare, che incidono negativamente sulle decisioni d’acquisto e ristrutturazione e del relativo finanziamento.
Con l’aumento dei tassi di interesse si attenua invece la contrazione dei volumi di mutui di surroga, tornati nelle scelte delle famiglie al fine di ridurre gli oneri della rata dei mutui stipulati a tasso variabile. I dati relativi a marzo/aprile 2023 evidenziano già una ripresa a doppia cifra sui corrispondenti mesi del 2022.

Rischiosità e qualità del credito

A marzo 2023 il rischio di credito relativo al totale dei prestiti alle famiglie, pur rimanendo di poco superiore all’1%, si colloca su un piano lievemente più alto rispetto al minimo raggiunto a marzo 2022. I dati degli ultimi mesi del 2022 e il primo trimestre 2023 confermano però la buona qualità del credito, in particolare dei mutui ipotecari. A sostenere tale dinamica contribuiscono sia il comportamento virtuoso da parte delle famiglie sia l’ampia diffusione delle forme a tasso fisso, nonché gli interventi attuati dal Governo a supporto del reddito in un contesto di elevata inflazione.
Il credito al consumo, in particolare, nella forma del prestito finalizzato, mostra a fine 2022 l’incremento maggiore, pur mantenendosi a livelli storicamente inferiori rispetto ai prestiti personali.

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Per i giovani l’Intelligenza Artificiale è il motore dell’innovazione

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Per i giovani l’Intelligenza Artificiale è il motore dell’innovazione

Chi ha paura dell’Intelligenza artificiale? Non certo i giovani, anzi. Lo conferma la seconda edizione del Rapporto dell’Osservatorio su Innovazione e Digitale, dal titolo ‘Giovani, innovazione e transizione digitale’, promosso da Angi Ricerche, in collaborazione conLab21.01.
Per gli under 35, infatti, l’AI rappresenta il primo motore dell’innovazione nonché il principale megatrend della transizione ecologica e digitale. Il Rapporto è stato presentato nel corso dello Young Innovators Business Forum, l’evento dedicato all’innovazione e alle nuove generazioni.
Una manifestazione che punta a mettere in luce le principali sfide del nostro ecosistema paese, con una panoramica sui nuovi trend tecnologici, le future generazioni e la transizione ecologica e digitale.

Megatrend del futuro: italiani vs under 35

Secondo il rapporto, quindi, per i giovani il futuro è nell’Intelligenza Artificiale: lo sostiene il 20% di loro, contro il 10% degli italiani in generale. Questo segna un cambio di rotta rispetto alle generazioni precedenti, che al contrario, continuano a considerare dominanti altre tendenze. Come l’e-commerce, individuato come megatrend del futuro dal 10% degli italiani in generale, contro il 3% degli under 35. Oppure, gli smart places, individuato da quasi il 15% contro il 4% dei giovani, e l’entertainment (15% contro 12%).

“Una divergenza generazionale nelle aspettative”

“Appare evidente una divergenza generazionale nelle aspettative e nelle rappresentazioni del futuro del mercato – commenta Roberto Baldassari, Direttore del Comitato Scientifico Angi -. Ciò che ha significato un ponte per il futuro negli ultimi anni per gli under 35 è ormai un asset della vita quotidiana.  Su tutti, è l’e-commerce, a oggi integrato nel ciclo di vita dei prodotti e surclassato dalle nuove frontiere tecnologiche e digitali”.
Invece, “il potenziale dell’Intelligenza artificiale è considerato ancora tutto da esplorare e offre nuove opportunità, oltre che spazio per l’apporto di competenze e idee da parte dei nuovi giovani professionisti che faranno il loro ingresso in azienda”, aggiunge Gabriele Ferrieri, presidente di Angi.
Ma un fattore importante di sviluppo del mercato è quello dell’innovazione, che insieme alla sostenibilità rappresenta uno dei fronti principali per assicurare un futuro ai giovani e al paese in generale.

Puntare sulla tecnologia per migliorare la qualità della vita

Per migliorare la qualità della vita nelle città secondo i giovani è necessario investire anzitutto sull’innovazione e la tecnologia (37,1% under 35 contro 27,6% totale), mentre per il campione complessivo la priorità è incentivare acquisto di mezzi elettrici (34,6% contro 29,7% under 35).
Da una parte, riporta Askanews, si spinge sulla creazione di condizioni favorevoli, mentre dall’altra si adotta un approccio incentrato sui comportamenti di consumo. Aumentare il livello di comunicazione ai cittadini sul concetto di Smart mobility è invece importante per il 20,3% del campione. Ma meno rilevanza si dà alle politiche nazionali e locali per ridurre l’inquinamento (12,9% dei giovani e 17,5% del totale).

Economia

Export digitale dei beni di consumo: valore a 18,7 miliardi di euro

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Export digitale dei beni di consumo: valore a 18,7 miliardi di euro

Nel contesto di incertezza che stiamo tutti vivendo, le esportazioni italiane hanno ripreso a crescere in termini di valore, mostrando un trend positivo che continua parzialmente anche nei primi mesi del 2023. In questo scenario, il commercio digitale genera nuove opportunità di sviluppo e ha un ruolo centrale nelle strategie di export delle imprese italiane. Nel 2022, l’export digitale italiano dei beni di consumo, sia diretto (B2C, tramite sito proprio o marketplace) che intermediato (B2B2C, tramite retailer online), ha raggiunto il valore di 18,7 miliardi di euro, registrando una crescita del 20,3% rispetto al 2021. Questo rappresenta un aumento annuo di circa 3 miliardi di euro, corrispondente all’8,8% dell’export italiano complessivo. I settori più rilevanti sono il Fashion, con 10,1 miliardi di euro (54% del totale), il Food & Beverage, con 2,6 miliardi di euro (+18,2% rispetto al 2021), e l’Arredamento, con 1,3 miliardi di euro (+13% rispetto al 2021).

Anche il B2B “vola”, + 20% nel 2022

Per quanto riguarda il commercio tra aziende, l’export digitale B2B ha raggiunto nel 2022 il valore di 175 miliardi di euro, con una crescita del 20% rispetto ai 146 miliardi del 2021, equivalente al 28% dell’export italiano totale. I settori di maggiore peso sono l’Automotive (38 miliardi di euro, 22% del totale), il Fashion (26 miliardi di euro, 15% del totale) e la Meccanica (17,8 miliardi di euro, 10% del totale), ma i maggiori incrementi si riscontrano nel Farmaceutico (+47%), nell’Elettronica di consumo (+21%) e nel Fashion (+20%).

Strategie di export digitale poco mature per le PMI

Tuttavia, le PMI italiane presentano ancora strategie di export digitale poco mature, con inefficienze nell’uso dei canali di vendita digitali, delle tecnologie per l’export e dei cruscotti di indicatori per valutare i progetti di internazionalizzazione. Questi sono alcuni dei risultati emersi dalla ricerca condotta dall’Osservatorio Export Digitale della School of Management del Politecnico di Milano. Nonostante il contesto economico negativo, nel 2022 le esportazioni italiane sono cresciute notevolmente, principalmente a causa dell’aumento dei costi di produzione e dei prezzi anziché dei volumi. Anche se i brand italiani non hanno registrato un aumento degli ordini cross-border, sono comunque riusciti a mantenere le loro quote di mercato. In un contesto turbolento, il canale online rappresenta un’opportunità non ancora pienamente sfruttata dalle PMI per raggiungere mercati lontani, comprendere meglio i propri clienti e ottimizzare i processi di vendita. Pertanto, è fondamentale creare cultura e diffondere conoscenza per agire con consapevolezza in una strategia di export digitale.

Le prospettive per il 2023 

Nel 2023, si presenta uno scenario economico globale incerto dopo tre anni caratterizzati da fluttuazioni significative. Le stime delle principali istituzioni economiche indicano una crescita del PIL globale del +3,4% nel 2022, con una previsione di circa +2,6% per il 2023. L’inflazione mondiale è in calo nei primi mesi del 2023, ma rimane ancora relativamente elevata, il che potrebbe portare a politiche monetarie restrittive per qualche mese. Queste incertezze, insieme alle tensioni geopolitiche ed economiche, hanno influenzato il commercio mondiale, che nel 2022 ha registrato aumenti contenuti (+2,7%, inferiore alla crescita del PIL globale).

I principali mercati dell’export digitale tricolore 

L’Osservatorio ha anche identificato i Paesi di maggiore interesse per l’export digitale italiano tra le 20 principali economie mondiali. Gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania, la Svizzera e la Francia sono ai primi posti, riflettendo l’elenco attuale dei principali Paesi destinatari dell’export italiano. Altri Paesi come Singapore, il Canada e la Corea del Sud emergono grazie alle loro buone performance commerciali, infrastrutturali e amministrative.

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WhatsApp, 15 minuti per correggere i messaggi già inviati  

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WhatsApp, 15 minuti per correggere i messaggi già inviati  

Finalmente si può correggere senza eliminare e riscrivere tutto. E’ di questi giorni la notizia che riguarda Whatsapp, il principale sistema di messaggistica a livello globale, che ha attivato una nuova funzionalità. WhatsApp ha finalmente introdotto la tanto attesa opzione di modifica dei messaggi, che consentirà agli utenti di correggere eventuali errori o aggiungere emoji entro 15 minuti dall’invio. Per modificare un messaggio, basterà premere su di esso e selezionare l’opzione “Modifica” dal menu. Una volta apportate le correzioni, il messaggio mostrerà la dicitura “modificato” accanto all’orario di invio.
Questa funzione sarà particolarmente utile per refusi durante la battitura o per aggiungere emoji che erano state dimenticate in un messaggio precedentemente inviato. Come già accaduto con i file multimediali e le chiamate, pure i messaggi modificati sono protetti da crittografia end-to-end. L’importante è ricordare che l’opzione di modifica sarà disponibile solo per i primi 15 minuti dopo l’invio del messaggi. Trascorso il quarto d’ora, non ci sarà altro da fare che lasciarlo così o alla peggio eliminarlo. 

La funzione sarà disponibile globalmente nelle prossime settimane 

Secondo quanto dichiarato da WhatsApp, questa funzione è stata sviluppata da tempo ed è previsto che sia resa disponibile a tutti gli utenti nelle prossime settimane. L’aggiunta di questa nuova opzione farà sì che WhatsApp rimanga allineato con  altri servizi di messaggistica, come Telegram.

La modifica? Non visibile in chat

L’introduzione della modifica dei messaggi offrirà agli utenti la possibilità di correggere errori immediatamente, senza dover cancellare e reinviare il messaggio. Inoltre, poiché la modifica non sarà visibile agli altri partecipanti alla chat, si eviteranno possibili confusioni. Tuttavia, alcuni utenti potrebbero preoccuparsi di eventuali abusi di questa funzione. Ad esempio, un utilizzatore potrebbe inviare un messaggio provocatorio o offensivo e poi modificarlo prima che gli altri lo leggano. WhatsApp dovrà affrontare questa problematica con una politica chiara e precisa sull’uso della funzione di modifica dei messaggi.

L’importanza di un testo “preciso”

Il fatto che questa funzione di modifica sia stata richiesta da molti utenti di WhatsApp sottolinea l’importanza di un controllo più accurato sul testo inviato. Si tratta di un passo importante verso un’esperienza utente più soddisfacente nel contesto della messaggistica digitale. Sebbene questa opzione da sola non risolva tutti i problemi di comunicazione, rappresenta sicuramente un miglioramento significativo nel processo di scambio di informazioni tra gli utenti della piattaforma.

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Relazione medico-paziente: le differenze tra Italia, Francia e Germania 

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Relazione medico-paziente: le differenze tra Italia, Francia e Germania 

Quali sono le abitudini e le aspettative nei confronti dei medici di famiglia e degli specialisti in Europa? Quando si tratta di gestire la propria salute e il rapporto con il medico di fiducia italiani, francesi e tedeschi hanno comportamenti molto diversi. Ad esempio, se il 50% degli italiani si rivolge immediatamente al dottore al primo segnale di malessere, il 30% dei francesi preferisce aspettare che il problema si risolva da solo, mentre il 21% dei tedeschi cerca innanzitutto risposte e soluzioni online.
Un ruolo importante riveste poi in Francia il farmacista, consultato dall’80% del campione, rispetto al 63% degli italiani e al 52% dei tedeschi. Lo rivela la prima edizione del Barometro Doctolib sulle relazioni medico-paziente, realizzata dall’Istituto Odoxa in Italia, Francia e Germania.

Italiani e francesi più soddisfatti dei tedeschi

Trovare un medico di medicina generale o un pediatra disponibile all’ascolto, e a comunicare anche al di fuori dei momenti di visita, è fondamentale per costruire una solida relazione medico-paziente.
Mentre italiani e francesi si dichiarano soddisfatti, con rispettivamente l’82% e l’84% degli intervistati che reputano la comunicazione con il medico di medicina generale semplice ed efficace, solo il 68% dei tedeschi afferma lo stesso. Ancor più marcata la differenza per quanto riguarda la comunicazione con il pediatra, giudicata facile dall’81% degli italiani e dal 73% dei francesi, a fronte del 53% dei tedeschi.

Come facilitare la comunicazione con il dottore?

Uno dei desideri condivisi dai nostri connazionali è in particolare quello di aumentare il ricorso agli strumenti digitali per facilitare ulteriormente la comunicazione con il dottore. Quattro italiani su 10 vorrebbero infatti poter prenotare visite anche fuori dall’orario di apertura dell’ambulatorio medico, e oltre 3 su 10 desiderano poter richiedere ricette elettroniche e ricevere l’analisi e il commento di referti online. Desideri che si traducono in aspettative. Il 60% degli italiani, infatti, si aspetta di ricevere risposta alle richieste inviate al proprio medico in tempi brevi, e più della metà (56%) di poter prendere appuntamento senza dover attendere a lungo.

Gli italiani si fidano più degli specialisti che dei medici di famiglia

Per quanto riguarda la fiducia verso i professionisti sanitari gli italiani hanno una percezione molto positiva della categoria, in particolare verso gli specialisti (92%), i pediatri di libera scelta (90%) e i medici di medicina generale (88%). I nostri vicini francesi invece preferiscono questi ultimi, con il 92% che ha buona percezione dei medici di medicina generale, seguiti in ordine da specialisti (91%) e pediatri (86%).
Una classifica simile anche in Germania, con al primo posto i medici di base (90%), seguiti da specialisti (85%) e pediatri (84%).
Il fatto che in Italia, pur nel contesto di una percezione generalmente positiva, i medici di famiglia siano al terzo posto sul podio potrebbe essere correlato allo stress professionale. Infatti, il 42% degli italiani ritiene che il proprio medico di base sia stressato, opinione condivisa solo dal 30% dei francesi e dal 33% dei tedeschi.

Economia

Inflazione e consumi: gli effetti sul Retail del Largo Consumo

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Inflazione e consumi: gli effetti sul Retail del Largo Consumo

I consumatori di tutta Europa stanno subendo gli effetti dell’inflazione sull’aumento del costo della vita. Un’analisi realizzata da GfK su 15 Paesi europei mostra come il 93% dei consumatori abbia già modificato le proprie abitudini di acquisto per risparmiare. Più della metà degli intervistati afferma che non si tratta di una decisione volontaria, ma che il cambiamento delle abitudini di acquisto è legato all’andamento dei prezzi. A livello europeo, il 60% dei consumatori dichiara di prestare maggiore attenzione al prezzo rispetto al passato, e il 54% cerca o aspetta promozioni speciali per finalizzare i propri acquisti.

Come affrontano il carovita gli italiani?

Tra le misure messe in campo dagli italiani per ridurre i costi, al primo posto c’è la scelta di mangiare più spesso a casa al posto di andare al ristorante. Quasi il 60% degli italiani dichiara infatti di farlo più spesso che in passato.  Tra le altre iniziative più citate rientrano quelle connesse al tema del risparmio energetico, ad esempio, la scelta di utilizzare maggiormente gli elettrodomestici in modalità ‘ecologica’, o addirittura utilizzarli meno di frequente per ridurre il consumo di energia. Inoltre, il 45% degli italiani dichiara di fare più spesso acquisti in diversi negozi per trovare i prezzi migliori, mentre il 37% ha incrementato l’acquisto di prodotti ‘private label’ rispetto al passato.

Alcolici, dolciumi e cosmetici le categorie più impattate

Le prime tre categorie di prodotto per le quali i consumatori europei dichiarano di voler modificare i propri comportamenti di acquisto sono bevande alcoliche (50%), dolciumi (48%) e cosmetici (42%).
Ma l’effetto del cambiamento delle abitudini dei consumatori si riflette anche sulle tipologie di negozio.
In questa fase, infatti, fattori razionali come la disponibilità di promozioni interessanti, o di prodotti private label a basso costo, condizionano maggiormente i consumatori nella scelta del negozio rispetto a fattori emotivi (cordialità del personale o rapidità del servizio). E a livello europeo, i Discount registrano un incremento del +15% tra chi intende aumentarvi gli acquisti nei prossimi sei mesi.

Come far fronte alla crisi?

L’attuale crisi economica quindi non solo influisce sul sentiment, ma comporta compromessi e strategie di risparmio messe in campo dai consumatori. Per Retailer e Produttori è più importante che mai rimanere al passo con queste tendenze.
“Comprendere le nuove esigenze dei consumatori è fondamentale per elaborare le giuste offerte sui giusti canali – commenta Marco Pellizzoni, Commercial Director Consumer Panel & Services di GfK Italia -. Nel contesto attuale i prodotti innovativi, in grado di soddisfare i bisogni razionali e che offrono allo tempo stesso vantaggi emotivi o sociali per i consumatori, hanno buone possibilità di successo. Ad esempio, Retailer e Produttori possono aiutare i consumatori a non sprecare il cibo, offrendo porzioni più piccole o sconti in prossimità della data di scadenza”.

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In Italia solo il 7% delle aziende sa difendersi dalle minacce informatiche

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In Italia solo il 7% delle aziende sa difendersi dalle minacce informatiche

Secondo il Cybersecurity Readiness Index 2023 soltanto il 7% delle aziende italiane, contro più del doppio a livello globale, ritiene di essere in grado di difendersi da un attacco informatico.
L’indagine è stata condotta su un campione di 6.700 professionisti provenienti da 27 paesi, fra cui l’Italia, che operano nell’ambito della cybersecurity. Per realizzare il Cisco Cybersecurity Readiness Index sono stati presi come criteri di misurazione 5 pillar, che costituiscono la principale linea di difesa di un’azienda, Identità, Dispositivi, Sicurezza della rete, Carichi di lavoro applicativi, e Dati.

I cinque pilastri fondamentali della cybersecurity

Per quanto riguarda l’Identità, è necessario fare progressi in questo ambito, poiché solo il 13% delle aziende è classificato come ‘Maturo’. Quanto ai Dispositivi, la percentuale più alta di aziende in fase Matura è del 20%. Anche per la Sicurezza della rete le aziende sono in ritardo, con il 72% degli intervistati che si trova nella fase Iniziale o Formativa. Ma è quella dei Carichi di lavoro applicativi l’area in cui le aziende risultano meno preparate, con l’80% delle stesse in fase Iniziale o Formativa, mentre per i Dati il numero di aziende in fase Matura è pari al 14%.

I quattro gradi di preparazione 

Agli intervistati è stato chiesto di indicare quali sono le soluzioni finora adottate e qual è il loro attuale status. Al termine dell’indagine le aziende sono state classificate nei quattro gradi di preparazione: Principiante, Formativo, Progressivo, Maturo. In Italia solo il 7% delle aziende è nella fase Matura, l’8% si trova ancora in quella Principiante e il 61% in quella Formativa. Le aziende italiane mostrano quindi una preparazione in materia di cybersecurity molto inferiore alla media globale. A livello globale le aziende in uno stadio Maturo sono infatti il 15%. Nei prossimi 12-24 mesi, inoltre, il 75% degli intervistati si aspetta un’interruzione della propria attività a causa di un attacco informatico, mentre il 31% dichiara di averne subito uno nel corso dell’ultimo anno.

Essere impreparati può costare caro

Il 25% delle aziende colpite ha dovuto spendere almeno 500.000 dollari per riprendere il controllo della propria attività, riporta Adnkronos. Per questo l’87% degli intervistati prevede di aumentare il proprio budget per la sicurezza di almeno il 10% nei prossimi 12 mesi.
“L’errore più grande da parte delle aziende è quello di difendersi dagli attacchi informatici utilizzando un mix di strumenti – ha dichiarato Jeetu Patel, executive vice president and general manager of security and collaboration at Cisco -. Occorre invece considerare piattaforme integrate, grazie alle quali le aziende possono raggiungere un grado di resilienza sufficiente colmando allo stesso tempo il loro gap di preparazione nei confronti della cybersecurity”.