Con il coronavirus -735 mila contratti attivati

Con il coronavirus -735 mila contratti attivati

In termini di attivazioni contrattuali la cesura determinata dall’estendersi dei provvedimenti di lockdown appare evidente. A inizio 2020 l’andamento cumulato delle attivazioni a tempo determinato e indeterminato era sostanzialmente in linea con l’anno precedente, ma già dall’avvio delle prime misure di contenimento le attivazioni contrattuali hanno cominciato a peggiorare, con i tassi di variazione tendenziale giornalieri in progressiva decelerazione. La situazione è precipitata col decreto del 9 marzo. Da quella data in poi le nuove attivazioni cumulate giornaliere si sono spostate progressivamente su valori negativi, e al 23 aprile, in termini assoluti, il 2020 registra un deficit di circa 735 mila attivazioni rispetto al 2019, con variazioni tendenziali che nella seconda metà di aprile superano il 20%. È quanto rileva l’Anpal in un approfondimento sulle Prime evidenze degli effetti della crisi sanitaria sulla dinamica dei rapporti di lavoro.

A tempo determinato, -200 mila

In pratica, a breve distanza dal Dpcm del 23 febbraio la variazione tendenziale subisce una brusca decelerazione verso valori marcatamente negativi fino a raggiungere, nel mese di aprile, variazioni superiori a -50%.

Per quanto in forte contrazione già nel periodo intermedio tra la pubblicazione dei due decreti, i contratti a tempo indeterminato e di apprendistato mantengono comunque valori positivi. Ben diversa la dinamica dei contratti a tempo determinato che, dopo la brusca inversione di tendenza registrata tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo, dal 9 marzo in poi vedono precipitare le relative posizioni lavorative nette a quasi -200 mila unità, riporta Agi.

Il Centro-Nord mostra le contrazioni maggiori

Sul fronte territoriale sono soprattutto le regioni del Centro-Nord a mostrare le contrazioni maggiori nei flussi di assunzione, con Toscana, Liguria, le Provincie Autonoma di Trento e Bolzano e il Veneto che segnano riduzioni superiori al 30%, e prossimi o superiori al 60% se si guarda ai flussi dal 23 febbraio in poi.

In termini settoriali, le attività legate ai servizi e alla ristorazione sono quelle messe più in ginocchio sul fronte delle attivazioni contrattuali. Il settore turistico alberghiero si contrae di oltre il 52%. Si tratta di un deficit prossimo alle 300 mila unità rispetto allo scorso anno, vale a dire quasi il 40% del totale della contrazione dei nuovi contratti rilevati nel periodo.

La crisi occupazionale coinvolge l’intero sistema produttivo

Altrettanto colpito è il settore delle attività artistico e sportive, dove il lockdown è stato quasi altrettanto dirompente che per il settore turistico, con una riduzione del 44,6%. Ma è l’intero tessuto produttivo a mostrare chiaramente le conseguenze della crisi, con la sola eccezione del comparto agricolo, e per ovvie ragioni del settore sanitario. L’unico comparto a segnare un lieve aumento nel volume dei contratti è quello delle attività legate al lavoro domestico. Va sottolineato come l’andamento delle attivazioni non appare correlato con l’individuazione dei settori cosiddetti essenziali. Ancora una volta, la crisi occupazionale ha coinvolto trasversalmente l’intero sistema produttivo italiano.

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