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Economia

La pandemia fa emergere lo spirito imprenditoriale, anche tra le donne e i giovani

Posted by Valentina Beretta on
La pandemia fa emergere lo spirito imprenditoriale, anche tra le donne e i giovani

Dal sondaggio condotto da Ipsos in collaborazione con SDA Bocconi School of Management, dal titolo Entrepreneurialism. In the Time of the Pandemic, effettuato in 28 Paesi tra oltre 20.000 intervistati, emerge che oltre un terzo degli adulti in tutto il mondo dichiara di possedere uno spirito imprenditoriale molto alto.
Nonostante le persistenti barriere sociali e strutturali che hanno caratterizzato il 2020 si è avuta una crescita dello spirito imprenditoriale, anche tra le categorie che risultano meno tutelate, come le donne e i giovani. 
Secondo il sondaggio si tratta di un’evidenza indicativa delle capacità di reazione di molti cittadini alle avversità causate dalla pandemia. E che rappresenta una speranza per l’immediato futuro.

Più imprenditori tra le fasce di popolazione meno tutelate

Nonostante l’attitudine all’imprenditorialità sia più alta tra i Millennial, la Gen X, coloro con un’istruzione superiore e un reddito più alto, a livello internazionale, negli ultimi due anni questa è cresciuta maggiormente tra le fasce di popolazione meno tutelate dal punto di vista economico e sociale, come le donne (+4% sul 2018), la Gen Z (+3%), coloro che hanno un basso livello d’istruzione (+7%) e coloro che hanno un basso reddito (+9%). Allo stesso tempo, però, non a tutti sono concesse le medesime condizioni di partenza. Le più svantaggiate sono le donne, i cittadini appartenenti a gruppi LGBTQ e le persone con disabilità.

Mancanza di finanziamenti, la principale barriera all’avvio di un’attività

Gli ostacoli alla libera attività imprenditoriale non sono però solo di natura sociale, ma anche strutturale ed economica. E la mancanza di finanziamenti rappresenta la principale barriera all’avvio di un’attività imprenditoriale per il 41% degli intervistati. Inoltre, i governi, così come il settore finanziario e bancario, sono percepiti come interlocutori poco attivi nel sostenere i cittadini e le loro aspirazioni da imprenditori. In ogni caso, dal report emerge come esperienza imprenditoriale e spirito imprenditoriale siano fortemente correlati. Coloro che hanno già avuto esperienze di business sono più portati al rischio e alla libera iniziativa. 

Il 21% degli italiani vuole avviare una nuova attività nei prossimi due anni

Il sondaggio fa emergere poi le variazioni dello spirito imprenditoriale da Paese a Paese. La Colombia, ad esempio, si posiziona al primo posto, seguita da Sud Africa, Perù, Arabia Saudita e Messico.
Belgio, Gran Bretagna, Francia, Paesi Bassi, Corea del Sud e Giappone si collocano invece agli ultimi posti.
E l’Italia? Il nostro Paese si trova in 13a posizione, ed è prima tra i Paesi europei con una percentuale del 29%, in aumento del 5% rispetto al 2018. Inoltre, in Italia coloro che affermano di aver iniziato un nuovo business sono stati il 4% in più rispetto al 2018, e il 21% afferma di voler avviare una nuova attività nei prossimi due anni.

Economia

Nel 2020 ecommerce e tecnologie digitali trainano l’export italiano

Posted by Valentina Beretta on
Nel 2020 ecommerce e tecnologie digitali trainano l’export italiano

L’export italiano ha potuto contenere i danni degli effetti della pandemia grazie all’e-commerce. A rivelarlo è l’Osservatorio Export Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, presentata recentemente durante il convegno online “Export digitale, Covid ed emergenza: strategie per la ripartenza”. A causa dell’emergenza sanitaria, afferma il report, nel 2020 gli scambi tradizionali con l’estero sono crollati di circa il 10%, mentre nello stesso periodo l’export digitale italiano di beni di consumo ha raggiunto un valore di 13,5 miliardi di euro, con una crescita del +14% in linea con l’andamento pre-pandemia, e un’incidenza del 9% sull’export complessivo di beni di consumo (era il 7% nel 2019) e del 3% sulle esportazioni totali (2,5% nel 2019).

Fashion e Food i settori trainanti del B2c online

I settori più importanti per le vendite B2c online all’estero sono Fashion (7,1 miliardi, 53%), Food (1,9 miliardi, 14%) e Arredamento (1,1 miliardo, 8%). Elettronica, cosmetica, cartoleria, giochi, articoli sportivi e gli altri comparti valgono complessivamente il 25% dell’export digitale B2c, ma singolarmente hanno un peso marginale. Nonostante questi numeri in positivo, ci sono decisi margini di crescita in ambito ecommerce per le imprese italiane. Come riporta l’Osservatorio, “Il 56% delle imprese usa i canali digitali per vendere prodotti all’estero – soprattutto in Germania (34,7%), Francia (26,8%), Regno Unito (26%), USA (25,4%), Spagna (18%) e Cina (11,4%) – e il 62% di queste lo fa in più di un mercato, ma quasi il 75% esporta online prodotti per meno del 20% del proprio fatturato”. Ancora più interessante il passaggio che rivela che “Un’impresa su dieci non ha né un export manager né un eCommerce manager, quasi la metà ha in organico solo il primo, il 70% ha inserito solo il secondo, mentre fra le imprese che esportano online una su due presenta entrambe le figure. Positiva la diffusione delle tecnologie digitali: l’80% ne impiega più di una in diverse funzioni aziendali, soprattutto marketing, distribuzione, vendite e produzione”. Insomma, ci sono spazi per migliorare ancora.

L’Export digitale B2b

L’export digitale B2b raggiunge un valore di 127 miliardi di euro, con un calo del -5% rispetto al 2019, ma un aumento dell’incidenza sulle esportazioni complessive di prodotti, pari al 29%. Anche in ambito B2b l’export digitale ha giocato un ruolo fondamentale per la ripresa delle esportazioni, in particolare sono aumentate nel largo consumo e nel farmaceutico, bilanciate però da una riduzione nella gran parte degli altri settori merceologici. “A differenza del comparto B2c, il B2b ha subito una notevole frenata a causa del lockdown – afferma Maria Giuffrida, Ricercatrice dell’Osservatorio Export Digitale -. Si è assistito a un accorciamento delle filiere, con molti operatori che hanno iniziato ad aggirare gli intermediari delle varie catene di fornitura per servire direttamente il consumatore finale attraverso l’eCommerce, ove possibile e tipicamente nei mercati più vicini”. La filiera più digitalizzata è quella automobilistica, che rappresenta il 18,5% dell’export digitale B2b per un valore di 23,5 miliardi di euro (circa il 65% dell’export automotive), seguita da tessile e abbigliamento con 18,3 miliardi e dalla la meccanica con quasi 15 miliardi.

Economia

Le imprese cercano nuovi clienti tramite i canali digitali

Posted by Valentina Beretta on
Le imprese cercano nuovi clienti tramite i canali digitali

Le piccole e micro imprese italiane si avvicinano al mondo digitale per acquisire nuovi clienti online, o realizzando piattaforme per la vendita sul web, e il marketing risulta l’area aziendale più digitalizzata. Sono ancora poche però le imprese che investono nella digitalizzazione dei processi aziendali e nella creazione di una cultura aziendale dell’innovazione. Secondo l’indagine condotta da BitBoss, startup dell’Incubatore di Imprese Innovative del Politecnico di Torino, se il 76,7% del campione intervistato dichiara di utilizzare il web per cercare nuovi clienti meno della metà afferma di avvalersi dell’utilizzo di software gestionali per digitalizzare e automatizzare i processi interni dell’azienda.

Marketing e pubblicità sono l’ambito tecnologico in cui si investe di più

Dall’indagine emerge inoltre che il 43,3% ammette che il marketing e la pubblicità rappresentano l’ambito tecnologico in cui hanno investito maggiormente negli ultimi 3 anni, mentre solo il 6,7% degli imprenditori dichiara di aver già digitalizzato tutti i propri processi aziendali, e il 30% ammette di non aver digitalizzato alcun processo.

“Probabilmente questo fenomeno trova la sua causa nella facilità con cui possono essere raggiunti e utilizzati gli strumenti di web marketing anche dalle realtà più piccole. Al contrario – afferma Davide Leoncino, responsabile marketing di BitBoss – digitalizzare la gestione interna della propria azienda richiede uno sforzo maggiore perché le tecnologie necessarie a compiere questo passo sono più difficilmente raggiungibili”.

Innovazione digitale fondamentale nelle scelte strategiche e di investimento

Gli imprenditori però sembrano essere consapevoli della necessità di innovare a ogni livello. L’85% del campione si dimostra convinto che investire in innovazione digitale possa, almeno in parte, fornire un vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza. Il 31,7% degli intervistati ritiene che l’innovazione digitale abbia un ruolo fondamentale nelle scelte strategiche e di investimento della propria azienda, tuttavia solo il 23,3% dispone di figure specializzate come programmatori o sviluppatori al proprio interno e il 60% spende meno del 10% del proprio fatturato annuo in formazione del personale in ambito digitale. Inoltre solo il 10% del campione ha investito negli ultimi 3 anni in ricerca e assunzione di personale specializzato.

La digitalizzazione per affrontare la crisi

La stragrande maggioranza degli imprenditori intervistati è comunque convinta che la difficile situazione economica causata dal Covid-19 stia spingendo le imprese verso una maggiore cultura digitale. Il 75% del campione si dice convinto che questa situazione porterà le imprese verso un sempre maggiore avvicinamento al mondo digitale, e che sia fondamentale per le imprese sviluppare al proprio interno competenze digitali per riuscire a superare la crisi.

Emerge quindi un ecosistema consapevole della necessità di innovare. “Quello che manca invece, soprattutto nelle piccole realtà, è l’effettiva capacità di mettere in pratica il salto innovativo che auspicano – spiega ancora Leoncino -. Ciò che è difficile per le imprese è ottenere le competenze interne sufficienti a effettuare scelte consapevoli, anche solo per trovare un partner tecnico di cui possano fidarsi e che possa affiancarle nella crescita dal punto di vista tecnologico”.

Economia

Imprenditoria, rallenta ma non si ferma la crescita delle imprese al femminile

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Imprenditoria, rallenta ma non si ferma la crescita delle imprese al femminile

Le donne sono toste, si sa. Anche quando si tratta di business: e che le signore siano brave pure alla guida delle aziende è dimostrato dal milione e 340mila imprese capitanate da donne, così come emerge dal IV Rapporto sull’imprenditoria femminile realizzato da Unioncamere. 

Crescita rosa maggiore di quella degli uomini

In base al report, oggi sono il 22% del totale le imprese rosa, ma con una differenza. Negli ultimi 5 anni queste sono cresciute a un ritmo molto più intenso di quelle maschili: +2,9% contro +0,3%. In valori assoluti l’aumento delle imprese femminili è stato più del triplo rispetto a quello delle imprese maschili: +38.080 contro +12.704. In pratica, le imprese femminili hanno contribuito a ben il 75% dell’incremento complessivo di tutte le imprese in Italia, pari a +50.784 unità.  Anche se ancora fortemente concentrate nei settori più tradizionali, le imprese di donne stanno crescendo soprattutto in settori più innovativi e con una intensità maggiore delle imprese maschili. E’ il caso delle Attività professionali scientifiche e tecniche (+17,4% contro +9,3% di quelle maschili) e dell’Informatica e telecomunicazioni (+9,1%, contro il +8,9% delle maschili). A livello geografico sono Lazio (+7,1%), Campania (+5,4%), Calabria (+5,3%), Trentino (+5%), Sicilia (+4,9%), Lombardia (+4%) e Sardegna (+3,8%) le regioni in cui le aziende al femminile aumentano oltre la media. In termini di incidenza territoriale, sul totale delle imprese, al vertice della classifica si incontrano tuttavia tre regioni del Mezzogiorno (Molise, Basilicata e Abruzzo), seguite dall’Umbria, dalla Sicilia e dalla Val d’Aosta.

L’effetto del Covid-19

La tendenza, e l’informazione non sorprende, ha però subito una battuta d’arresto a causa del coronavirus. Tra aprile e giugno, infatti, le iscrizioni di nuove aziende guidate da donne sono oltre 10mila in meno rispetto allo stesso trimestre del 2019. Questo calo, pari al -42,3%, è superiore a quello registrato dalle attività maschili (-35,2%). Anche per effetto di questo rallentamento delle iscrizioni, sul quale ha inciso il lockdown, a fine giugno l’universo delle imprese femminili conta quasi 5mila unità in meno rispetto allo scorso anno.

Un rapporto più soft con l’innovazione

Anche se le imprenditrici italiane sono brave, il rapporto mette in luce alcune criticità o meglio delle differenze rispetto agli omologhi uomini. Le giovani donne d’impresa hanno una minore propensione all’innovazione rispetto ai coetanei uomini (il 56% delle imprese giovanili femminili ha introdotto innovazioni nella propria attività contro il 59% imprese giovanili maschili); investono meno nelle tecnologie digitali di Industria 4.0 (19% contro il 25% delle imprese giovanili maschili); sono meno internazionalizzate (il 9% contro il 13%); hanno un rapporto difficile con il credito (il 46% delle imprese femminili di under 35 si finanzia con capitale proprio o della famiglia). Però le imprese femminili sono generalmente più attive su altri fronti: sono più attente all’ambiente, all’etica e alla responsabilità sociale e investono nel green più dei giovani imprenditori (31% vs 26%) così come nella salute nel benessere dei dipendenti (72% contro 67%).

Economia

Il vetro è il re del packaging, aumentano prodotti e fatturato

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Il vetro è il re del packaging, aumentano prodotti e fatturato

I prodotti confezionati in vetro sono sempre più presenti sugli scaffali di negozi e supermercati. Se oggi, vino, birra, sughi confezionati in vetro assorbono l’85% del fatturato, anche per olio, succhi, conserve e altri prodotti aumenta l’appeal del packaging “trasparente”. Il packaging sta diventando uno strumento di marketing e di vantaggio competitivo, e assume un ruolo sempre più significativo nelle strategie green di produttori e retailer.

In questo contesto la presenza del vetro è in aumento soprattutto nel segmento premium, i prodotti di livello qualitativo superiore o di alto valore simbolico, per cui è prevista una crescita del 7-8% nel prossimo triennio.

Tra il 2016 e il 2019 i tassi di crescita fino al 17%

I dati sono contenuti nell’analisi Il contributo del packaging in vetro nella valorizzazione delle categorie food&beverage. Implicazioni per la grande distribuzione, realizzata per conto di Assovetro da Guido Cristini, docente dell’Università di Parma. Secondo l’indagine, tra il 2016 e il 2019 i tassi di crescita del packaging in vetro per i sughi sono del 17%, per le birre del 16% e per il vino del 13%. Anche per olio, succhi, conserve e altri prodotti aumenta l’appeal delle confezioni in vetro. Nel settore succhi, ad esempio, nello stesso periodo il fatturato è aumentato del 10%, e si registra un notevole potenziale di crescita in tutti i settori.

Una confezione sostenibile

“Questo vento a favore del vetro, come packaging sostenibile – osserva Marco Ravasi, presidente della sezione contenitori in vetro di Assovetro – deve richiedere più che mai il nostro impegno. E l’industria europea del vetro si è già data un obiettivo: raggiungere entro il 2030 il 90% di tasso medio di raccolta del vetro destinata al riciclo”.

Nel 2018 il tasso di riciclo del vetro ha raggiunto il 76,3%, il 6,6% in più rispetto al 2017, conferma l’indagine. E se l’85% dei consumatori italiani lo ritiene il miglior packaging, riporta Adnkronos, rispetto a 40 anni fa si è ridotto del 50% il fabbisogno di energia per la produzione di bottiglie e vasetti, e sono calate del 70% le emissioni. Inoltre, grazie al riciclo nel 2018 sono state risparmiate 3.395.000 tonnellate di materie prime vergini, 320.000tep di energia e 2.082.000 tonnellate di CO2.

Un’industria da 2 miliardi di fatturato

Bottiglie e vasi poi sono stati sottoposti a un drastico dimagrimento. Una bottiglia di spumante dagli anni ’90, ad esempio, è diminuita in peso del 18%, del 13% un vasetto di omogeneizzati e del 12,2% quella dell’olio.

Anche gli investimenti dell’industria dei contenitori in vetro dimostrano questo impegno green. Su 200 milioni annui di investimenti dell’industria nazionale, il 41% è destinato a ridurre l’impatto ambientale.

In complesso, in Italia l’industria di bottiglie e vasi in vetro conta 16 aziende, 39 stabilimenti, 7.100 addetti, più 12.000 dell’indotto, sviluppa due miliardi di fatturato, ed è seconda in Europa nella produzione di contenitori.

Economia

Gli italiani sono affezionati al contante, che vale il 52% delle transazioni

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Gli italiani sono affezionati al contante, che vale il 52% delle transazioni

Il contante a oggi è ancora il mezzo di pagamento più diffuso tra i cittadini italiani, e vale il 52% del totale transato, per uno scontrino medio di 16 euro. Insieme alle carte, copre l’85% del totale transato, e raggiunge 337 di miliardi di euro rispetto ai 220 miliardi delle carte. Ma se queste ultime nel 2017 confermano una crescita a doppia cifra anno su anno nell’ultimo triennio, lo scontrino medio di 60,5 euro riflette un utilizzo ancora poco frequente per le piccole e medie spese quotidiane, che rimangono appannaggio del contante per la maggioranza dei consumatori. Il restante 15% del mercato dei pagamenti è processato con altri strumenti, come l’addebito in conto corrente, il bonifico bancario, l’assegno e i buoni pasto, che insieme valgono 97 miliardi di euro.

Crescono gli addebiti in conto corrente a sfavore degli assegni

Sono alcuni risultati della ricerca dedicata al mondo dei pagamenti degli italiani, condotta dall’Osservatorio Mobile Payment & Commerce della School of Management del Politecnico di Milano, secondo la quale nel 2017 gli italiani hanno acquistato beni e servizi di consumo per un totale di 654 miliardi di euro.

In questo mercato gli strumenti di pagamento principalmente utilizzati dagli italiani sono il contante e le carte di pagamento, utilizzate da più dell’80% degli italiani per spese in negozio e online. Sono cresciuti però anche gli addebiti in conto corrente, grazie alle domiciliazioni bancarie delle utenze domestiche promosse dalle politiche commerciali delle utility. E si diffondono sempre più gli strumenti di Internet e Mobile banking. Decresce, invece, l’utilizzo degli assegni, in favore soprattutto dei bonifici.

I canali di pagamento

Se si considerano i canali attraverso i quali i consumatori scelgono di effettuare un pagamento, quello di Proximity Payment rappresenta nel 2017 il 91% del totale del mercato, per un valore di 570 miliardi di euro. E si prevede che tale canale rimarrà il più importante anche nei prossimi cinque anni. I canali online di Remote Payment rappresentano il residuale 9% del mercato, con un valore transato di 59 miliardi di euro, e pur trattandosi di un mercato di valore secondario rispetto al canale offline, mostrano elevati tassi di crescita anno su anno, in particolare per quanto riguarda la componente di acquisti su siti eCommerce e pagamenti tramite bonifico da home banking.

I trend per i prossimi 5 anni

“Nei prossimi 5 anni prevediamo un forte avvicinamento del transato con carta a discapito di quello con contante – dichiara Valeria Portale, Direttore dell’Osservatorio Mobile Payment & Commerce del Politecnico di Milano -. Il definitivo superamento, o almeno l’avvicinamento, delle carte al contante per valore del transato dipenderà però anche da diversi fattori, come le eventuali azioni intraprese dal Governo verso la ‘war on cash’ o le iniziative promosse dagli attori della filiera per promuovere l’uso di strumenti di pagamento innovativi”.

 

Economia

A febbraio Pil stimato -0,1% annuo

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A febbraio Pil stimato -0,1% annuo

A inizio 2019 le difficoltà dell’economia e le aspettative di crescita incerte tornano a condizionare negativamente i consumi delle famiglie. Questa situazione di permanente debolezza nei principali indicatori porta a stimare per il mese di febbraio una variazione congiunturale nulla del Pil mensile. Un dato che porterebbe a una decrescita del -0,1% rispetto allo stesso periodo del 2018.

A dicembre 2018, al netto dei fattori stagionali, la produzione industriale ha subito un ulteriore calo del -0,8% su base mensile, e del 5,4% su base annua. A gennaio 2019, quindi, la fiducia ha mostrato andamenti decrescenti tra le imprese e leggermente crescenti per i consumatori.

La fiducia delle imprese a gennaio ridotta dello 0,5%

A dicembre 2018 l’occupazione non ha registrato variazioni di rilievo rispetto al mese precedente, ma nel confronto annuo permane in moderata crescita (+0,1% su base mensile, +0,9% su base annua).  Da quanto emerge dal rapporto Congiuntura di Confcommercio a gennaio il sentiment delle imprese, in linea con un quadro economico non favorevole, si è ridotto dello 0,5%. Anche la fiducia delle imprese al dettaglio è peggiorata del -2,1% su dicembre, mentre il clima di fiducia delle famiglie ha registrato un miglioramento dello 0,7%.

L’ ICC torna stazionario

Gli andamenti degli ultimi mesi sembrano quindi suggerire come il recupero di ottobre e novembre abbia rappresentato più un fatto episodico, concentrato in alcuni segmenti di spesa come gli elettrodomestici e l’elettronica di consumo. Un recupero favorito da bassi prezzi e iniziative promozionali piuttosto che dall’inizio di una fase di miglioramento della domanda. A gennaio 2019 l’indicatore dei Consumi Confcommercio (ICC) ha infatti segnato una diminuzione dello 0,3% in termini congiunturali e un aumento dell’1,1% nel confronto con lo stesso mese del 2018. In termini di media mobile a tre mesi, dopo il recupero degli ultimi periodi l’indicatore è tornato stazionario.

Unica variazione positiva beni e servizi ICT

La diminuzione dello 0,3% registrata in termini congiunturali dall’ICC a gennaio è sintesi di una flessione dello 0,2% della domanda relativa ai servizi e dello 0,3% per i beni, riporta Italpress. L’unica variazione positiva ha riguardato le spese per beni e servizi per le comunicazioni (+0,6% su dicembre), sul cui andamento continua a influire il favorevole andamento della domanda per i beni ICT. Per contro, la diminuzione più significativa si è registrata per i beni e servizi per la mobilità (-1,7%), sui quali ha pesato l’andamento non positivo della domanda di autovetture. In diminuzione anche la spesa per alberghi e consumazioni fuori casa (-0,4% su dicembre).

Economia

Lavoro, nel periodo gennaio-novembre 2018 +5% di assunzioni nel settore privato

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Lavoro, nel periodo gennaio-novembre 2018 +5% di assunzioni nel settore privato

Il 2018 si è chiuso con una certa dinamicità del mercato del lavoro, almeno nel settore privato. Lo segnala l’INPS, che ha monitorato le assunzioni complessive nel lasso di tempo gennaio-novembre 2018. L’Istituto nazionale di previdenza sociale ha rivelato che nel periodo in esame, in riferimento ai soli datori di lavoro privati, le assunzioni sono state 6.890.000. Si tratta di un aumento del 5% ( pari a 325.000 unità in più ) rispetto allo stesso periodo del 2017.

Aumentano tutte le tipologie di contratti

Dai dati dell’INPS, risultano in crescita tutte le componenti: i contratti a tempo indeterminato vedono un aumento del +5,9%, i contratti a tempo determinato del +4,3%, i contratti di apprendistato del +11,9%, i contratti stagionali del +6,3%, i contratti in somministrazione del +2,4% e i contratti intermittenti del +7,7%. Per le assunzioni in somministrazione e a tempo determinato la fase di crescita si è conclusa ad agosto 2018. Positivo andamento anche per le trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato: nello stesso periodo l’incremento registrato è del +69,3%, pari a 186.000 unità. In controtendenza i rapporti di apprendistato confermati alla conclusione del periodo formativo, che sono invece in diminuzione: -15,0%, -10.000.

Crescono anche le cessazioni
Le cessazioni nel complesso sono state 6.265.000, in aumento rispetto all’anno precedente (+8,8%, +508.000). Un fenomeno che si registra fortemente in tutte le tipologie di rapporti a termine a partire dai contratti a tempo determinato (+15%) per arrivare ai contratti intermittenti (+30%), mentre diminuiscono le cessazioni riferite ai rapporti a tempo indeterminato (-3,5%, -52.000).

Il saldo nel settore privato

Nel periodo gennaio-novembre 2018, nel settore privato, si registra un saldo, tra assunzioni e cessazioni, pari a +625.000, inferiore a quello del corrispondente periodo del 2017 (+807.000). Su base annua, considerando la differenza tra assunzioni e cessazioni per il periodo 1 dicembre 2017-30 novembre 2018, il saldo coincide con la variazione tendenziale delle posizioni di lavoro. A fine novembre 2018 esso risultava positivo e pari a +283.000, in  calo rispetto a quello registrato ad ottobre (+314.000). I saldi tendenziali per le diverse tipologie contrattuali attestano un andamento sempre più positivo per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato (+134.000) e per l’apprendistato (+80.000). La consistenza dei lavoratori impiegati con Contratti di Prestazione Occasionale (CPO), a novembre 2018 si attesta intorno alle 18.000 unità (erano poco più di 15.000 a novembre 2017); l’importo medio mensile lordo della loro remunerazione effettiva risulta pari a circa 240 euro.

Economia

Millennials e lavoro: più fiducia nel futuro

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Millennials e lavoro: più fiducia nel futuro

I millennials hanno fiducia nel futuro, sono capaci di adattarsi rapidamente a innovazioni e cambiamenti, e sanno cogliere tutte le opportunità della Gig Economy. Soprattutto per quanto riguarda il futuro del mondo del lavoro.

La conferma arriva dal report pubblicato da CornerJob, l’app per il mobile recruitment, basato sui risultati di una ricerca condotta a giugno 2018 su 1,2 milioni di utenti di età compresa tra i 18 e i 35 anni. Secondo i risultati della ricerca infatti, nonostante l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) registri negli ultimi cinque anni un calo del 53% circa nelle retribuzioni dei lavoratori, il 74% degli intervistati è convinto che il mercato del lavoro cambierà in meglio.

Mobile recruiting e soft skills: come trovare un’occupazione stimolante

I giovani del terzo millennio concepiscono il lavoro come un naturale proseguimento del percorso iniziato tra i banchi di scuola. Al punto che per il 65% degli intervistati l’esperienza aziendale viene anteposta al conseguimento di un diploma universitario. E poiché il loro l’habitat naturale è digitale, riporta Adnkronos, il 77% si affida al mobile recruiting per la ricerca di un impiego. Il modo più diretto e concreto di cercare un’occupazione. L’85% degli intervistati, poi, privilegia un ambiente di lavoro stimolante a condizioni retributive vantaggiose. E, in generale, pensa che le soft skills contino quanto le competenze tecniche.

Qualcosa (non) è cambiato

Se la stabilità economica e la crescita professionale restano due priorità (52%), per i millennials queste non sono necessariamente legate all’esigenza di formare un nucleo familiare (obiettivo per il 10% degli intervistati). E nonostante siano abituati all’idea di un probabile nomadismo professionale, il 72% dichiara di voler restare nella stessa azienda per più di cinque anni. Tanto che il job hopping (cambiare lavoro più o meno ogni sei mesi) interessa solo al 14% degli intervistati. Insomma, pur tenendo in considerazione valori come work-life balance, flessibilità e smart working, i millennials cercano un contratto full-time (63%).

Recuperare i valori del passato adattandoli alla grammatica contemporanea

La popolazione che entro il 2020 rappresenterà più della metà della forza lavoro a livello globale non ha rinunciato al sogno rivoluzionario della cultura digitale iper-connessa e always-on. Ma ha ben compreso che il quadro socioeconomico si sta evolvendo a una velocità diversa da quella prevista.

Consapevoli e inclini alle trasformazioni, i millennials non si perdono d’animo, e non hanno paura di cambiare idea. Anche se ciò potrebbe significare recuperare, pur rileggendoli con la grammatica contemporanea, alcuni valori chiave della generazione che li ha preceduti.

Economia

Il trasporto aereo fa volare l’economia mondiale

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Il trasporto aereo fa volare l’economia mondiale

Un giro d’affari di 2.700 miliardi di dollari, pari al 3,6% dell’intera economia mondiale. Sono i numeri del trasporto aereo, un settore che fa volare l’economia globale. Lo ha reso noto la Iata, l’Associazione internazionale del trasporto aereo, in un rapporto dal titolo Aviazione: benefici oltre i confini.

Il report analizza l’importanza del trasporto aereo nella società civile, e affronta l’impatto economico, sociale e ambientale dell’industria a livello globale.

“Pensiamo a come i progressi nel trasporto aereo  hanno cambiato il modo in cui le persone e le imprese siano collegate tra loro – commenta Michael Gill, direttore esecutivo Iata -. Gli obiettivi raggiunti sono straordinari. Più gente in più parti del mondo di quanto mai sia stato in precedenza si avvantaggia di poter viaggiare rapidamente e in sicurezza”.

Due scenari possibili per la crescita del settore

Il rapporto prende in esame due scenari possibili per la crescita complessiva del settore. Nel caso di un approccio improntato al libero scambio Iata prevede che per il 2036 la crescita porterebbe il numero dei posti di lavoro a 97,8 milioni, per un giro d’affari di 5.700 miliardi di dollari. Nel caso in cui invece prevalessero le spinte politiche isolazioniste ci sarebbero 12 milioni di posti di lavoro in meno, e il calo del giro d’affari sarebbe pari a 1.200 miliardi di dollari, riporta Askanews.

Nel 2017 le tariffe aeree sono scese del 90% rispetto al 1950

Altri dati contenuti nel rapporto evidenziano che il trasporto aereo movimenta il 35% del commercio mondiale in valore (6.000 miliardi di dollari nel 2017), ma meno dell’15% in volume (62 milioni di tonnellate nel 2017). Sempre nel 2017 le tariffe aeree, in valore attualizzato, erano il 90% più basse rispetto a quelle del 1950, e ciò ha permesso l’accesso ai viaggi aerei a un numero di persone molto più elevato. Tanto che oggi il 57% dei turisti di tutto il mondo raggiunge le proprie destinazioni in aereo.

I lavoratori del settore sono 4,4 volte più produttivi

A livello mondiale, si legge ancora nel report di Iata, sono operative 1.303 compagnie aeree che in totale dispongono di 31.717 aerei, attivi su 45.091 rotte fra nazionali e internazionali. Gli aeroporti in tutto il mondo sono 3.759, e gli enti di assistenza al volo 170. Quanto al numero di posti di lavoro, a livello mondiale il settore ne conta 65,5 milioni, di cui10 milioni in maniera diretta.

Non è tutto, perché la produttività dei lavoratori del trasporto aereo è in media 4,4 volte superiore a quella degli altri settori industriali.